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É un Milan “antimorattiano”

Chi – fate voi se per fortuna o per sfortuna – inizia ad avere qualche decennio sulle spalle ricorderà bene, se non altro per il surplus di divertimento che gli procurava in aggiunta alle vittorie della sua squadra, che cos’era davvero l’Inter targata Moratti, prima che Guido Rossi & co. gli cambiassero per sempre la vita e prima che iniziassero a raccontarci – autoconvincendosi per primi, soprattutto, che è la cosa più grave – una realtà parallela nella quale se non fossero stati le vittime sacrificali di un sistema criminale che ce l’aveva solo con loro avrebbero stravinto tutto per dieci anni di fila.

Un (costosissimo) baraccone fatto di poca competenza, molta approssimazione e tantissima presunzione nel quale anche delle squadre qualitativamente di buon livello – perché presi singolarmente hanno avuto anche delle signore squadre, non glielo abbiamo mai negato – affondavano miseramente e sistematicamente, in balia di un ambiente isterico che rappresentava in modo perfetto la summa di tutto quello che non bisogna fare per avere successo nel mondo del calcio. Il tutto con una sola, immancabile, costante che si ripeteva anno dopo anno: le colpe (oltre ovviamente che dei truffatori senza i quali avrebbero stravinto tutto e bla bla bla…) sono tutte dell’allenatore di turno. Che infatti sulla panchina di quella squadra si sedeva con la data di scadenza già stampata sul retro, come le mozzarelle.

Ecco, forse è una specie di nemesi storica che ci tocca scontare, il Milan degli ultimi dodici mesi assomiglia in tantissime cose a quel baraccone ma con una grande differenza che lo rende, in un certo senso, antitetico all’Inter morattiana: qui la colpa è sempre di tutti – dei calciatori che passeggiano in campo, dei tifosi che non si accontentano mai, dei giornalisti che fanno domande indiscrete, del destino cinico e baro – tranne che dell’allenatore.

Oh, sia chiaro, non vogliamo cascare nell’errore opposto nel quale cadevano loro tanti anni fa: non è che l’allenatore è il responsabile di tutti i mali del mondo. Però nel calcio esistono le sfumature di grigio, non ci sono solo i due estremi.

La verità è che, oggi da noi come negli anni Novanta da loro, una squadra di calcio funziona se, prima di tutto, ne funziona la testa. L’anno scorso, al momento di tirare le somme della stagione e distribuire le responsabilità, si è deciso – perché è stata una decisione, non una valutazione, a voi cogliere le differenze – di tenere la componente tecnica al riparo dai processi, facendo fuori una buona metà della squadra che, comunque, sia pure con un sorteggio favorevole era arrivata a giocare una semifinale di Champions League e, di conseguenza, facendo fuori la componente dirigenziale che quella squadra l’aveva assemblata.

Il messaggio dato alla fine della scorsa stagione era che la squadra era costruita male, mister Pioli aveva fatto il massimo con il materiale tecnico che gli era stato messo a disposizione, adesso gli diamo una squadra più forte e vedrete che le cose andranno meglio.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la stagione è andata peggio dell’anno scorso, perché in campionato hai sì migliorato il piazzamento finale (forse… a questo punto conviene aspettare queste ultime sei partite…) ma hai ottenuto sostanzialmente lo stesso risultato pratico del piazzamento europeo uscendo dai giochi per lo scudetto già a novembre, in Champions League – sia pure con le attenuanti di un girone durissimo: l’unico alibi che davvero gli diamo in questa stagione – hai fatto peggio, in Coppa Italia hai ottenuto lo stesso risultato uscendo con un avversario inferiore rispetto a quello che ti aveva eliminato l’anno scorso e in Europa League hai buttato via la possibilità di tornare a vincere dopo quasi vent’anni una competizione internazionale – soprattutto dopo l’eliminazione del Liverpool – andandoti a schiantare senza appello contro il primo avversario mediamente valido che hai trovato sulla tua strada, dopo due turni nei quali la qualificazione era pressoché garantita.

Nel frattempo, di quella che era la squadra raffazzonata con la quale mister Pioli aveva ottenuto il massimo, Brahim Diaz è praticamente uno dei titolari del Real Madrid semifinalista di Champions, De Ketelaere sta facendo una buona stagione – niente di trascendentale, ma di certo meglio di quello che aveva fatto da noi – all’Atalanta che va in semifinale di Europa League superando il Liverpool, Saelemaekers è un elemento importante del Bologna che sta facendo il suo miglior campionato di Serie A degli ultimi sessanta anni. L’unico che continua a non fare bene è Junior Messias che, dei quattro, da noi era quello che veniva riproposto in tutte le salse e in ogni zona del campo.

La scorsa estate la squadra è stata rafforzata, non c’è ombra di dubbio, ma come l’Inter morattiana è lì a dimostrare nella storia del calcio, avere una buona squadra non è sufficiente per avere buoni risultati. É necessario, ma non basta. Serve che tutta la linea di comando sia buona, dalla testa, alla panchina, fino al campo.

Sono state fatte tante scelte sbagliate negli ultimi dodici mesi e l’aver deciso, scientemente, di fare una rivoluzione a metà la scorsa estate nonostante fosse sotto gli occhi di tutti che un percorso tecnico era arrivato alla sua naturale conclusione ha gettato le basi per questa stagione sghemba. Si è scelto l’accanimento terapeutico perché era finalizzato ad un certo modo di raccontare la passata stagione e di conseguenza giustificare le scelte estive il risultato è che, alla prima vera difficoltà, la nave è subito affondata senza più riuscire a riemergere perché, a parte la bella ma sporadica vittoria con il Paris St. Germain, il Milan quest’anno non ha mai avuto neanche un sussulto: ha vinto, bene o male, le partite che doveva vincere e ha sistematicamente perso – nettamente nel confronto in campo e a volte anche molto male nel risultato – tutte le partite nelle quali l’asticella della complessità tecnica e/o della posta in gioco si alzava. Dall’ennesimo derby in cui non abbiamo toccato biglia alla Coppa Italia con l’Atalanta, dalla sfida chiave con il Borussia Dortmund dopo aver raddrizzato il girone al doppio confronto europeo con la Roma.

Non sappiamo se Ibrahimovic può essere la persona giusta per rimettere un po’ le cose a posto: è un ruolo nuovo per lui ed è tutto da vedere come si comporterà, ma sappiamo per esperienza che avere una testa che funziona, dove tutte le persone sono messe al posto giusto a fare il loro mestiere e non ad improvvisarsi per ciò che non sono, è la cosa più importante per avere successo nel calcio. Speriamo che ci riesca perché senza quello diventa inutile tutto il resto.

Dopodiché bisognerà pensare a costruire la squadra della prossima stagione, a cominciare dalla panchina per la quale prima ancora che un nome – Conte andrebbe benissimo, nel caso, ma il mondo non finisce a Conte – ci aspettiamo di vedere una filosofia: il Milan è tornato stabilmente a frequentare le zone alte della classifica e a partecipare alla Champions League e in questo mister Pioli ha tutti i meriti del caso, ma adesso è ora di fare lo step successivo. I Lopetegui o i Fonseca, con tutto il dovuto rispetto, non hanno nessun titolo di merito in carriera per sedere sulla panchina di un Milan che punta a fare questo step, così come non ce l’ha ancora il buon Farioli – al quale auguriamo di avere una carriera di successo e magari di arrivarci al Milan, a tempo debito – dopo soli sei mesi positivi al Nizza. Il rischio, con scelte strampalate, azzardi o scommesse varie, è di tornare indietro di cinque anni: la disastrosa gestione post-Spalletti del Napoli è lì a dimostrarlo se mai ce ne fosse bisogno.

Quella della panchina sarà una scelta che inciderà sul futuro a medio termine e che determinerà che cosa vuole fare da grande questo Milan americano. Se ce lo permettete, la sola idea che una scelta di questo tipo venga fatta con le stesse logiche che hanno portato alle scelte della scorsa estate ci mette i brividi.

3 commenti su “É un Milan “antimorattiano”

  1. Per fortuna o sfortuna, per me l’Inter morattiana era quella di Angelo, che battagliava ad armi pari col Milan di Carraro.

    Però il paragone “al contrario” con l’Inter di Massimo ci sta. Certo anche noi nell’era pre-Pioli abbiamo cambiato diversi allenatori ma, come si diceva una volta in politica, Pioli oramai ha esaurito la “spinta propulsiva”, per cui serve un cambio.

    Solo per mettere i puntini sulle i, l’anno scorso siamo stati eliminati in coppa Italia dal Torino (di sicuro inferiore all’Atalanta), giocando buona parte del match in 11 contro 10, e anticipando gli errori sul turnover compiuti in seguito.

  2. Il paragone, onestamente, lo vedo di più adesso che nel periodo 2012-2019 quando avevamo ben altri problemi.

    Poca competenza, tanta approssimazione e (soprattutto) tantissima presunzione: così erano all’epoca e così siamo diventati oggi.

    Solo per mettere i puntini sulle i, l’anno scorso siamo stati eliminati in coppa Italia dal Torino (di sicuro inferiore all’Atalanta)

    É vero!

    L’Inter era due anni fa, ho fatto confusione.

  3. Complimenti per l’analisi molto equilibrata, che condivido. Pioli non è certo un Panzer-allenatore del livello di Ancelotti, Guardiola, Conte, ecc. che garantiscono, se non il risultato, almeno il gioco. Pioli non ha neppure esperienza in Europa e non sempre sa impostare la partita e interpretarla correttamente in corsa, se le cose non girano per il verso giusto. Però ha avuto il merito di portare al Milan uno scudetto e riportare la squadra ai piani alti della classifica e nelle coppe europee. Quest’anno i risultati non sono arrivati anche perché mancava la guida e la grinta di un Ibrahimovic nello spogliatoio per trascinare la squadra come avvenuto nell’anno dello scudetto. Ora il ciclo Pioli ormai è finito, ma le colpe vanno anche ai troppo esaltati “campioni” fasulli come Leao (la cui indolenza in campo è irritante) o fuori quota come Giroud. La squadra in campo non ha un regista/trascinatore che sia capace di caricarsela sulle spalle e farla girare con ordine. Infine, la società ha deciso di fare a meno dell’esperienza di uno come Paolo Maldini per affidare la campagna acquisti a “non-si-sa-chi” dalla dubbia esperienza in materia: e i risultati li vediamo quest’anno. Se le cose non vanno, le responsabilità vanno equamente distribuite, ma, come sempre, “il pesce comincia a puzzare dalla testa”. Ormai non resta che “goderci” l’immancabile 0-6 dell’imminente derby (forse, come ha scritto qualche tifoso in un blog, faremmo più bella figura a non presentare la squadra al derby e perdere 0-3 a tavolino) e sperare di non assistere al crollo psico-fisico della squadra nelle 5 rimanenti partite, con conseguente qualificazione Champions a rischio. Non resta che incrociare le dita e gridare FORZA MILAN, ma ho la sensazione che servirà a poco!

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